domenica 10 aprile 2011

Fuori è giorno

Da quindici anni è portavoce in Italia della battaglia del popolo Ogoni, in Nigeria. La sua voce di denuncia si scontra con i grandi interessi delle compagnie petrolifere. Sembra una battaglia impari, ma Bridget ha un’arma non convenzionale: la determinazione


di CHIARA MILANO



«Noi in Nigeria non abbiamo la luce elettrica, e qui siamo in una sala bellissima, con l’aria condizionata, piena di affreschi, e con dei lampadari, stupendi, accesi. Ma fuori è giorno».
Bridget Yorgure, in quella lontana giornata di settembre (2005), a Venezia, si era guardata attorno, mentre pronunciava, quasi con tono di sfida, queste parole ai componenti del Consiglio provinciale, riuniti in seduta straordinaria. Voleva da subito sottolineare lo spreco che il nostro benessere non ci fa più vedere.
È una donna coraggiosa, Bridget. Nata e vissuta in Nigeria, risiede e lavora da quindici anni in Italia. E, nel nostro Paese, oltre al lavoro di operatrice sociale, ha fondato la Nigerian Cultural Women Promotion e dal 1995 rappresenta il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni. Un’importante eredità, quest'ultima, che la vede testimone di Ken Saro-Wiwa, il noto scrittore e insegnante universitario nigeriano che, prima di essere condannato a morte per aver denunciato la compagnia petrolifera Shell e il suo continuo sfruttamento e deturpamento delle terre per l'estrazione del petrolio, ha voluto la nascita di questo Movimento che si oppone al degrado del territorio vicino al Delta del Niger, la patria degli Ogoni.
«La popolazione abitante viene costantemente avvelenata dall'inquinamento degli impianti industriali, con un impatto disastroso sull'ambiente e la responsabilità della continua emigrazione dei locali. L’Africa è un continente estremamente ricco di risorse e materie prime, ma è reso povero dai Paesi che lo sfruttano e che derubano le nostre ricchezze ­– afferma Bridget, descrivendo situazioni tragiche, al limite dell'umano, in cui si trovano a vivere donne che da anni partoriscono dei “mostri”, perché l’acqua che bevono deve essere “scremata” dal petrolio che la ricopre in superficie.
Gli Ogoni stanno ancora aspettano un riconoscimento, sia su base nazionale che internazionale, dei loro diritti riguardo all’ambiente e all’economia. Con mezzi non violenti e l’autodeterminazione, questa popolazione cerca di rivendicare quel che gli spetta, opponendosi alla distruzione dell’ecosistema Delta. Una distruzione dovuta alle multinazionali, tra cui anche le italiane Agip ed Eni, insediate in Nigeria per prelevare risorse e continuare a garantire all'Europa e al resto del mondo benestante quello stile e quella qualità della vita che per noi è diventata irrinunciabile. Sicuramente i governi africani, quello nigeriano in prima linea, ottengono un notevole guadagno dal commercio del petrolio, se pensiamo che questo costituisce l'80% delle entrate e diventa quindi responsabile dell'intera economia del Paese. Ma è proprio il Delta del Niger a fornire il 90% dell'oro nero esportato.
A questo punto Bridget Yorgure si fa portavoce di un cambiamento che è diventato ormai vitale, non solo per gli Ogoni: «C’è bisogno che i nostri governi europei riflettano sull’uso del petrolio, sul sistema dei trasporti, sull’energia. Finora nessun governo Ue ha approvato alcun decreto che obblighi le persone a lasciare in garage l’automobile se non percorre almeno 2 chilometri di distanza. Questa è la distanza che percorriamo in Africa abitualmente a piedi, ogni giorno». 

La seconda donna al potere in Africa


Da alcuni giorni un'altra donna guida un paese o un governo in Africa. Si tratta di Cissè Mariam Kaidama Sidibè (nella foto), che dal 3 aprile scorso è diventataPrimo Ministro del Mali.
La seconda appunto perchè fino al 3 aprile solo una donna, come già indicato in un vecchio post, guidava uno stato ed era il Presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, eletta nel 2006.


La Sidibè (Cissè è il nome del marito) è nata a Timbuctu il 4 gennaio del 1948, ha studiato pubblica amministrazione a Bamako, e dal 1974 al 1989 ha lavorato presso il Ministero per la Tutela delle Società e delle Imprese Statali e studiato in varie parti del mondo, tra cui in Italia. Nel 1987 è diventata assistente del Ministro.


Dal 1991 al 1992 è stata Ministro della Programmazione Internazionale e della Cooperazione, nel 1992 Ministro dell'Agricoltura. Dal 1993 al 2000 ha diretto l'Agenzia Internazionale contro la deforestazione con sede in Burkina Faso. Nel 2001 è stata chiamata come assistente dall'amico Amadou Tourè, che nel 2002 è diventato presidente del Mali nominandola Ministro dello Sviluppo Rurale. A partire dal 2003 è stata presidente del SONTAM, la società ministeriale dell'insutria del tabacco.
Ha quattro figli.


Per il Mali è la prima volta che una donna assume la carica di Primo Ministro ( o di Capo di Stato).
Il Mali è il 15° paese africano ad aver avuto nel corso della propria storia,anche per un solo giorno, una donna nelle più alte cariche dello stato (Capo di Stato o Capo del Governo). Gli altri 14 paesi sono: Etiopia, Lesotho e Swaziland (Regina), Gabon, Guinea Bissau, Liberia e Sudafrica (Capo di Stato) e Burundi, Madagascar, Mozambico, Centrafrica, Ruanda, Sao Tomè e Principe e Senegal (Primo Ministro).

Quello che è avvenuto in Mali, con la nomina della Sidibè, aggiunge un piccolo tassello alla lotta per aumentare la rappresentanza femminile nelle istituzioni, in Africa come nel Mondo. Ricordiamoci, ad esempio, che l'Italia è tra i tanti paesi che non hanno mai avuto una donna a Capo dello Stato o del governo.
http://gianfrancodellavalle-sancara.blogspot.com/2011/04/la-seconda-donna-al-potere-in-africa.html

Donne in Parlamento, il Ruanda al primo posto nel mondo

Per la prima volta nel mondo un Parlamento eletto è composto in maggioranza da donne. Si tratta del Parlamento del Ruanda, eletto recentemente (i risultati sono stati pubblicati il 18 settembre scorso), in cui 44 donne (54,9%) siedono in un Parlamento di 80 eletti. E' un fatto straordinario che avviene in uno dei paesi più martoriati dell'ultimo ventennio (e forse anche in questo, stando agli analisti, risiede questo risultato).
Il Ruanda supera la Svezia che ha il 46,5% (162) di rappresentanza femminile, il Sudafrica 44,5% (178), Cuba 43,5% (265) , l'Islanda 42,9% (27), l'Olanda 42% (63) e la Finlandia 40% (80).
La presenza delle donne nei Parlamenti del mondo rappresenta uno degliobiettivi di sviluppo del millennio ( ovvero per il 2015 è portare al 50% le donne nei parlamenti).
Purtroppo, salvo l'esperienza del Ruanda e qualche altro isolato caso, l'obiettivo del millennio è lontano in gran parte del resto del mondo, anche in quello ricco.

Se in alcuni stati le donne non sono assolutamente rappresentate (è il caso dell'Arabia Saudita, dell'Oman, del Belize, delle Isole Solomone e altri piccoli stati dell'Oceania), il altri la percentuale è ridicola: in Yemen lo 0,3% (1), in Egitto l'1,8% (8), in Iran il 2,8% (8), in Libano il 3,1% (4), in Mongolia il 3,9% (3), ad Haiti il 4,1% (4), in Georgia il 5,1% (7) e in Ciad il 5,2% (8).

Non sono nemmeno entusiasmanti i dati dei grandi paesi del mondo: il Brasile 8,8% (45), l'India 10,8% (59), il Giappone 11,3% (54), la Russia 14% (63), gli Stati Uniti 16,8% (73), la Francia 18,9% (109), la Gran Bretagna 19, 5 (126), l'Italia 21,3% (134) e la Cina 21,3% (637).
Meglio, tra i paesi che contano nel mondo, la Spagna 36,6% (128), la Germania 32,8% (204)

In Africa, con più alta percentuale di donne in Parlamento, dopo il Ruanda e il Sudafrica, troviamo il Mozambico 39,2% (98), l'Angola 38,6% (85), l'Uganda 31,5 (102) , il Burundi 31,4 (37) e la Tanzania 30,7% (99).
Vi è una singolare relazione tra l'alta percentuale di donne nei Parlamenti e momenti vissuti di forti crisi (in qualche modo superati) nei paesi (Ruanda, Sudafrica, Mozambico, Angola, Burundi) quasi a dire che una volta che gli uomini hanno fallito nel compito di governare sono le donne a prendere il controllo della situazione.
Ad una relativa forte presenza in Parlamento delle donne non corrisponde, in Africa, una reale gestione del potere di governo (vedi post sul potere delle donne africane). Ad oggi in tutto il continenete africano solo la Liberia è guidata da un presidente donna. Thomas Sankara aveva, forse per primo, intuito la potenzialità delle donne africane (vedi post) e la necessità di affidarle la gestione degli stati.

Vale la pena sottolineare i dati negativi africani nei parlamenti di Egitto 1,8% (8), del Ciad 5,2% (8), della Somalia 6,9% (37), della Nigeria 7% (25), del Congo 7,3% (10), dell'Algeria 7,7% (30) e della Libia 7,7% (36).

Al 2015 mancano solo 5 anni, è la strada da percorrere è ancora lunga e difficile.